giovedì 19 marzo 2015

Come distinguere il cibo naturale da quello artificiale?

Siamo talmente abituati al cibo industriale che ormai da molti anni ci siamo convinti che sia "naturale". Forse è naturale (nel senso di normale, abituale) alimentarci in questo modo ed educare le giovani generazioni ad aprire contenitori, barattoli, pacchetti, confezioni, togliere pellicole, mettere in padella, in forno o nel microonde roba già pronta che (ri)cuoce in pochi minuti. 
"Non ho tempo". "Vado di fretta". Ecco le frasi che ripetiamo sempre più spesso agli altri (anche se sono i nostri figli) e a noi stessi. Un alibi, una scusa... insomma, diciamoci la verità, una grande bugia! Il tempo c'è. E infatti la tecnologia ci aiuta. Abbiamo lavastoviglie, lavatrice, aspirapolvere, frullatori, impastatrici, pentola a pressione, centrifughe e mille altri aggeggi che spesso compriamo e che poi dimentichiamo in fondo ad un cassetto o in un angolo della dispensa. Ma allora, se il progresso ci ha liberato da tante incombenze, perchè sosteniamo di non avere tempo? La risposta a mio avviso è molto templice: il tempo lo abbiamo, ma lo usiamo male. Troppe ore davanti a tv, smartphones, tablets, nel creare e disfare relazioni virtuali che di reale hanno solo la quantità del tempo che ci rubano. Non si comunica, si chatta. Non si esce con gli amici, non si parla con loro guardandoli negli occhi, si scrive sui social networks, si "condividono" status e post, ma del vero significato della parola condivisione abbiamo proprio perso le tracce.
E ora mi direte... ma cosa c'entra tutto questo col cibo? C'entra. Così come c'entra il modo in cui ci alimentiamo. Di corsa, al fast food, in auto, davanti alla televisione o al computer, tra uno snack industriale e l'altro, tra un piatto pronto e l'altro e, cosa tristissima, con la forchetta in una mano e il telefonino nell'altra. Tutto dev'essere pronto, veloce, rapido. E mentre riscaldiamo qualcosa, controlliamo se abbiamo ricevuto qualche messaggino. Tra un boccone e l'altro aggiorniamo lo status sul nostro social network preferito, magari aggiungendo un tristissimo selfie. 
Eppure l'alimentazione è un'altra cosa. Non si può mangiare di fretta. O si mangia o si fa altro. Il cibo va assaporato, gustato, goduto, non solo a livello sensoriale, ma anche sociale. Non dimentichiamo che la convivialità è sinonimo di aggregazione, quel genere di aggregazione che non conosciamo più.
Siamo talmente sommersi e bombardati dai prodotti industriali che neanche li consideriamo tali. Ciò che mi ha fatto riflettere ultimamante è la domanda che mi hanno fatto molti dei miei studenti quando, nel compilare il diario alimentare, si imbattevano in
cibi che non sapevano definire. E così mi chiedevano: "Ma la pasta è industriale? Il caffè è industriale? E il succo di frutta?".
La cosa mi fa pensare e non poco, anche se la mia risposta è sempre stata rapida. "Ma la pasta la fai in casa? Il caffè lo produci tu? E il succo di frutta?". Cos'altro avrei potuto replicare? Ecco, di fronte a questa risposta talmente ovvia da sembrare sciocca, la maggior parte dei miei studenti sgranava gli occhi. Mi ci è voluto molto più di qualche minuto per spiegare loro che la regola per distinguere i cibi naturali da quelli industriali è una sola: dove c'è un'etichetta, lì c'è cibo industriale. Non si trovano etichette, né date di scadenza, né claims, né informazioni nutrizionali sulla frutta e sulla verdura al mercato o dal fruttivendolo di fiducia. Con questo non voglio dire (e spero che i crudisti e i fruttariani mi perdoneranno) che dovremmo vivere di sola frutta e verdura, ma almeno possiamo provare a limitare drasticamente i cibi artificiali, comprando quelli con non più di cinque ingredienti in etichetta. Più lunga è la lista degli ingredienti, meno naturale e salutare sarà l'alimento. Ricordiamo comunque di evitare assolutamente quegli alimenti sulla cui etichetta ci sono nomi impronunciabili, che non conosciamo, che non useremmo nella preparazione casalinga di una pietanza. Sono tutti additivi (coloranti, dolcificanti, esaltatori di sapidità, conservanti, ecc.) di cui il nostro organismo non ha affatto bisogno.

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